Sono anni che si parla della ricerca semantica, e sono anni che i SEO di tutto il mondo si interrogano sul reale avanzamento di Google in questo senso. Il concetto è semplice: mister G è senza ombra di dubbio il migliore tra i motori di ricerca online, e se dunque può esistere un motore realmente semantico, quello non può che essere lui. Ad oggi, però, la ricerca semantica di Google non è ancora molto efficiente: non possiamo, dunque, formulare delle query come se parlassimo a un essere umano e pretendere che nella pagina dei risultati ci sia effettivamente quello che stavamo cercando. Indubbiamente, però, Google ha fatto dei grossi progressi negli ultimi anni. Prima di capire come e perché dovresti interessarti alla ricerca semantica se vuoi migliorare – o mantenere tale – il posizionamento del tuo sito web, desideriamo dunque riassumere brevemente il progresso di Google in questo senso dal 2012 a oggi.
Il cammino di Google verso la ricerca semantica
Indice
Tutto, come anticipato, inizia nel 2012, con l’introduzione del Knowledge Graph. Grazie a esso, Google riesce a effettuare le prime associazioni tra parole e oggetti. Occhio, siamo ancora lontanissimi dalla ricerca semantica, ma perlomeno il motore inizia a interpretare l’intento di ricerca degli utenti. Con la query ‘Piero della Francesca’ Google restituisce dunque nella pagina dei risultati non solo la lista dei siti che parlano del pittore, ma anche una serie di immagini, nonché i dati relativi alla sua vita, tratti da Wikipedia. Insomma, questo è un primo, piccolo ma importante passo, volto a soddisfare maggiormente l’utente.
L’anno seguente c’è il decisivo update Hummingbird, con la discesa in campo di un algoritmo espressamente pensato per comprendere e in parte interpretare semanticamente le query degli utenti, andando cioè oltre le singole parole chiave. Nel 2015, l’ultimo grande step verso la ricerca semantica: viene introdotto RankBrain, un sistema di machine learning teso al continuo miglioramento dei risultati restituiti agli utenti in base al loro stesso comportamento. Con RankBrain, dunque, possiamo trovare tra i primi posti della SERP una pagina che non contiene affatto la parola chiave digitata dall’utente. Fino a qualche anno fa, questo sarebbe stato impensabile!
Cos’è la ricerca semantica?
Dopo questa introduzione, possiamo definire meglio cos’è la ricerca semantica: è il tentativo di carpire il reale significato delle query degli utenti, comprendendo dunque l’intento di ricerca degli utenti, la relazione tra le parole immesse e il contesto della richiesta. Come detto, Google non è ancora un vero genio in tal senso, ma senz’altro, di tanto in tanto, riesce a stupire gli utenti, sfruttando a proprio vantaggio informazioni come: la localizzazione dell’utente (importantissima quando si parla di Local SEO), le ricerche recenti dell’utente, la cronologia complessiva, i trend del momento, le occorrenze delle combinazioni delle parole e via dicendo.
L’esempio più semplice è la ricerca di un’attività commerciale: se ti trovi a Milano (e Google lo sa) e digiti ‘macelleria’, il motore di ricerca non ti restituirà tra i risultati le macellerie di Roma, bensì quelle di Milano. E ancora, nel momento in cui andrai a domandare al motore di ricerca ‘quando sorge il sole a Roma?’ non andrà a cercare nel web dei contenuti corrispondenti alle parole chiave ‘sorge’, ‘sole’ e ‘Roma’. No, ti restituirà un comodo specchietto con l’orario dell’alba a Roma di domani. Semplice, no?
Google, SEO e ricerca semantica
Ma nel concreto, in che modo la ricerca semantica dovrebbe influenzare la SEO del tuo sito web? Prima di tutto, visto il progressivo calo di importanza delle parole chiave, i tuoi contenuti non dovrebbero più essere costruiti in modo esplicito intorno a una keyword. Di più: anziché creare decine e decine di post per rafforzare delle precise parole chiave, dovresti creare dei testi comprensivi e più slegati dalla keyword, sapendo che Google è – e sarà sempre più in grado di – valutare i tuoi testi a prescindere dalla parola chiave utilizzata.
E parlando di parole chiave, visto la crescita parallela di ricerca semantica e ricerca vocale – l’una trae forza dall’altra – dovresti puntare non sulle parole chiavi secche, quanto invece sulle long tail keyword, le quali coincidono spesso con le query colloquiali sottoposte dagli utenti ai motori di ricerca.
Siamo di fronte, dunque, alla transizione di Google ‘from string to things’, con una progressiva svalutazione delle keyword di fronte ai miglioramenti nel campo della ricerca semantica. Ma, di nuovo, siamo ancora lontani dalla perfezione: Google continua ad avere bisogno delle parole chiave e di tanti altri aiutini per capire il significato e il valore dei vari contenuti. I link dall’esterno e dall’interno, i markup, la velocità di caricamento delle pagine e tantissimi altri fattori SEO, insomma, restano cruciali per guadagnare preziose posizioni sulla SERP.
L’importante, per ora, è comprendere che Google non è un ingenuotto che ragiona solo per parole chiave!